
L’intervista a coach Federico Pasquini, pubblicata in esclusiva sul magazine biancoblu DinamoMania
Federico Pasquini coach ha tolto camicia celeste e jeans e indossa la tuta della Dinamo, ha sempre meno il cellulare in mano e in tasca sempre il suo vecchio fischietto rosso. Per il gm-allenatore il 7 marzo scorso è iniziata una nuova sfida, una grande responsabilità, che lui affronta con la serietà che lo contraddistingue ma soprattutto con la leggerezza, la serenità e lo spiccato senso pratico che da sempre rendono di straordinaria autorevolezza le sue doti di “uomo del fare”. E ci tiene a sottolineare. “Per me è cambiato poco, sono sempre me stesso anche in campo e sono convinto che alla fine, nel porsi davanti ai giocatori e ai tifosi, ciò che maggiormente conta siano lealtà e onestà nel rimanere sempre se stessi, anche se in un contesto diverso”.
Dopo 5 anni da general manager, avresti mai immaginato un possibile ritorno su una panchina?
No, a Sassari poi, assolutamente no. E’ chiaro che, in generale, guardando al futuro cerco di vedere le situazioni in maniera abbastanza razionale. Il nostro è un mondo in cui devi ritenerti fortunato quando hai il lavoro ma devi anche pensare che ci sono momenti e situazioni in cui il lavoro puoi non averlo. Io adesso sono fortunato perché lavoro in una realtà come Sassari ma so benissimo che nel futuro potrebbero non esserci offerte da general manager e invece potrebbero arrivare quelle da allenatore e viceversa. Quindi è necessario sdoppiarsi, non fossilizzarsi su ruoli e aspettative perché alla fine quello che conta è lavorare.
La proposta di guidare la Dinamo quindi…?
Anche quella non me l’aspettavo, come detto, non era proprio nei piani. Però in fin dei conti, sapendo che il presidente mi stima molto, mi stimava molto anche come allenatore e ritrovandoci di fronte a una situazione che aveva preso una piega inaspettata, a otto giornate dalla fine ho pensato che potesse essere una scelta condivisibile. Perché prendere un ulteriore allenatore avrebbe comportato inevitabilmente una finestra di tempo per conoscersi reciprocamente con la squadra e pazienza per ripartire. Invece la possibilità che la squadra fosse allenata da me, che comunque la vivo quotidianamente dal primo giorno, poteva essere una fattore per accelerare un po’ i processi. Poi non so se è stata la scelta giusta…
Come vivi questa nuova sfida e com’è il ritorno in campo?
La vivo mettendoci l’energia che ho, al cento per cento. Quando faccio una cosa cerco sempre di farla al meglio delle mie possibilità, come prima lavoravo da gm al massimo adesso faccio lo stesso per muovere la mia testa su un’altra prospettiva, completamente concentrato nel fare il lavoro da allenatore. Il ritorno in campo è complicato i primi giorni, perché devi riprendere il ritmo, devi riabituarti a quelle che sono le dinamiche da campo. Il resto viene in maniera abbastanza semplice, ho fatto l’allenatore per 20 anni quindi, tolta un po’ di ruggine, si riparte. Il rapporto con i giocatori era già di un certo tipo prima, ora continua su quella falsa riga. Non sono stato tanto lì a trasformare il mio modo di essere, anche perché alla fine penso che in qualsiasi campo, ma soprattutto nello sport, contino e paghino la lealtà e l’essere reali.
Ripercorrendo gli anni in cui hai allenato, qual è il coach che pensi abbia inciso maggiormente sulla tua formazione e nella tua carriera?
Ho fatto da assistente a tredici allenatori, tutti molto diversi, alcuni molto importanti, di alto livello. Tantissimi con grandi qualità tecniche e di personalità, con un modo di interagire con la squadra veramente di livello. Se devo mettere insieme tutto questo mix, forse quello che mi ha dato di più è stato Dragan Sakota quando gli ho fatto da vice alla Fortitudo Bologna.
Quali le differenze tra questa esperienza appena cominciata e le ultime che ricordavi?
Beh, io non ho mai allenato a livello così alto. E devo dire che se da una parte allenare giocatori di questo livello è complicato da un punto di vista gestionale, dall’altra è più semplice da un punto di vista tecnico-tattico, perché hanno un’abilità tale che consente di fare cose che chiaramente per giocatori di fascia più bassa sono molto più difficili. Per il resto credo che la vera difficoltà sia allenare un gruppo fatto da persone che non ci tengono, a prescindere dal livello in cui alleni. Questo invece è un gruppo che ci tiene, che se potesse vorrebbe avere sempre grandi risultati, cosa che un po’ lo condiziona e appesantisce mentalmente. Io devo esser bravo ad alleggerire i ragazzi svuotare la loro testa, in modo che la collaborazione che hanno dimostrato fino ad oggi vada avanti a prescindere dal risultato positivo o negativo, guardando sempre alla possibilità di migliorare ogni giorno. In questo momento della stagione penso che la cosa più importante sia spezzare quell’inerzia, quella routine che porta avanti una squadra fin dall’inizio del campionato, trovando un cambio di marcia, una diversa prospettiva, fondamentale per affrontare questa fase.
Sembra che la Dinamo abbia ritrovato la sua identità di gioco, quel corri e tira che è stato il suo marchio di fabbrica …
Penso che in realtà siano le partite a fare le situazioni, penso che la bravura di un allenatore sia quella di capire il contesto che si crea per ogni diversa della partita. In gare come quella con Pesaro non correvamo, contro Capo d’Orlando siamo stati bravi a correre perché abbiamo messo grandissima pressione difensiva e in quella con Trento abbiamo tirato molto da tre punti perché Trento è molto fisica dentro l’area e la riempie. Quindi ogni partita ha una storia diversa, ha un senso diverso. Quello che noi dobbiamo fare è lavorare in difesa per poter essere in grado di correre. E’ il sogno di ogni allenatore fare una buona difesa per poi correre dall’altra parte e fare tiri semplici. Concettualmente, ciò che in questo momento mi sta piacendo di più è quanto ci sbattiamo a livello difensivo mentre il discorso dell’attacco che si tira veloce piuttosto che ragionato è dato dalla partita. Penso che se ci sbattiamo e siamo più intensi in difesa abbiamo più possibilità di correre, questo sicuro.
Sassari, 04 marzo 2016
Ufficio Stampa
Dinamo Banco di Sardegna